Piacere/realtà (esame/principio)

Se si prescinde dalla somministrazione mirata di psicodislettici, esistono due sole procedure per indurre psicosi sperimentale. La prima, che consiste nella deprivazione onirica, fu messa a punto dopo la scoperta dei correlati neurofisiologici del sonno (Aserinsky e Kleitman, 1953) e subito dimostrò quanto sia difficile impedire a un essere umano di sognare: per la messa al bando del sogno è necessario infatti risolversi a maniere forti e impedire completamente il sonno, e solo così si può in genere assistere, nel giro di pochi giorni, all'insorgenza di un insieme di sintomi ingravescenti di marca paranoidea e maniacale. La seconda procedura, non meno energica, consiste nella deprivazione sensoriale totale, anch'essa capace di condurre R depersonalizzazione, delirio e allucinazioni (Rapaport, 1958). Due le procedure ma unico il meccanismo, perché in entrambi i casi la deprivazione agisce mediante sabotaggio della struttura egoica, che si presta così a essere considerata come interfaccia fra mondo interno ed esterno, costantemente bisognosa di duplice apporto trofico, pulsionale da un lato e percettivo dall'altro. Quanto i due nutrienti siano a pari titolo indispensabili al sostentamento del metabolismo egoico, lo aveva già intuito Aristotele: l'anima è illuminata da due fuochi, l'uno responsabile di fantasia e sogni, l'altro di sensazioni e percezioni, fuochi di intensità complementare dimostrata dalla persistenza in sogno di attività percettive sbiadite come la fiammella rispetto all'incendio, mentre, viceversa, si continua a sognare anche da svegli, solo che è impossibile accorgersene a causa dell'immenso, prevaricante bagliore delle percezioni.

Tra i succedanei freudiani dei due fuochi aristotelici, piacere e realtà, governati dagli omonimi principi e alimentati rispettivamente da pulsione e percezione, potrebbero essere liquidati come semplici opposti segnati da differenti economie, dinamiche incompatibili e disgiunte ascrizioni topica e strutturale, se il ricorso al punto di vista genetico non mostrasse che il principio di realtà ha come ancestrale proprio il principio di piacere, di cui risulta perciò servitore lento e fedele sotto le mentite spoglie dell'irriducibile avversario. Per vedere come il binomio piacere/realtà non si riduca a semplice contrapposizione ma sia un intrico di complesse relazioni basta un rapido inventario metapsicologico: processo primario, energia libera, facilitazione e scarica sono sodali del principio di piacere, mentre quello di realtà ha dalla sua processo secondario, energia legata, inibizione e mantenimento della tensione, con gli ultimi quattro ingredienti, però, null'altro che esito di laboriose metamorfosi dei primi quattro (Freud, 1892-95; 1895; 1899a). Come se non bastasse, dal 1920 in poi l'avvento in scena di Eros e Thanatos ha finito per assegnare la medesima economia conservatrice della pulsione di morte anche al piacere, complicandone il versante destinato a graduale adattamento alla realtà e generando un paradosso da cui non si esce neppure postulando, del piacere, un al di là (Freud, 19200). E infine, gli stessi termini piacere e realtà sono tutt'altro che univoci, il primo essendo continuamente esposto alla «fallacia di James» (interscambio surrettizio fra descrizioni in prima e in terza persona), il secondo prestandosi a designare con pari adeguatezza sia la realtà materiale che quella psichica. E’ necessario perciò che, in tema di precisazioni sui due principi dell'accadere psichico, si sia quanto mai attenti alla genesi dei concetti.

Come gran parte dei fondamenti della metapsicologia, anche i due principi risultano formulati in tutti i loro aspetti essenziali molti anni prima della celebrazione formale del loro battesimo, che in questo caso avverrà nel 1911. Già nell'ultimo decennio dell'800, infatti, sullo sfondo delle teorie della coscienza, dell'allucinazione primaria e della funzione nervosa, è al lavoro la coppia concettuale processo primario / processo secondario, capace di fornire, dell'interfaccia egoica e dei due fuochi tra cui è presa, un modello teorico attendibile quanto basta per sopportare il peso ontologico iniziale di piacere e realtà. Quel triplice sfondo si presta a essere riassunto in poche parole. Teoria della coscienza: i quark psichici sono particelle materiali interconnesse da flussi energetici, e gli eventi psichici sarebbero null'altro che quantità in moto se non esistesse un organo, la coscienza appunto, elettivamente deputato al rilievo dei qualia esterni e in terni; i primi sono costituiti da percezioni, i secondi da stati di piacere e dispiacere, mentre resta mistero indecifrabile (e indecifrato) come dal mondo cieco della quantità possa emergere quello fenomenologico della qualità. Teoria dell'allucinazione primaria: in origine la memoria non è dichiarativa, ma consiste nella riattivazione dei medesimi schemi senso-motori già reclutati nelle pregresse esperienze di soddisfacimento; l'input per la riattivazione è fornito dall'incremento della spinta pulsionale in assenza dell'oggetto, e l'output consiste in un'esperienza allucinatoria fugacemente gratificante ma ininfluente su fonte e spinta pulsionali; suo destino è l'obsolescenza graduale concomitante alla progressiva differenziazione fra Sé e non-Sé e al parallelo sviluppo della capacità di demarcazione fra ricordo e percezione (Freud, 1911a; 1915d).

Infine, la funzione nervosa: ne è definiens l'eccitabilità e guida il principio di inerzia (prima variazione sul tema del principio di piacere), che si manifesta come tendenza a rimettere all'esterno nel più breve tempo possibile l'ammontare di energia che dall'esterno deriva; i vincoli organizzativi imposti dalla complessità dell'organismo richiedono tuttavia che parte minima di quell'ammontare non sia dissipato, ma trattenuto in ottemperanza al principio di costanza (seconda variazione sul tema del principio di piacere) e in vista di un'azione specifica volta a rendere la realtà propizia al soddisfacimento (Freud, 1895). In circolarità virtuosa, i tre modelli teorici di sfondo implicano e presuppongono processo primario e secondario: l'uno consiste di energia libera tendente a scarica immediata, imperativa e totale attraverso vie facilitate di condensazione e spostamento, organizza la memoria pulsionale all'opera nell'allucinazione primaria ed è depositario dei qualia edonici; l'altro emerge dal legame di quell'energia ottenuto dal sistema difensivo egoico mediante inibizione, implementa la memoria dichiarativa a scapito di quella pulsionale ed è elettivamente coinvolto nella ricezione dei qualia percettivi. La dialettica piacere/realtà fondata sui due processi ha perciò i suoi punti di equilibrio dettati dal ruolo cruciale di contrappesi inibitori apposti dall'Io come divieto di transito lungo le vie di scarica meglio facilitate (e perciò più trafficate), quelle tendenti all'ottenimento immediato di piacere a dispetto delle condizioni di realtà. Le modalità di divieto sono indirette e coinvolgono modifiche di soglia a opera di un particolare tipo di investimento, nel modo seguente.

Premesso che tutti gli stati psichici sono derivati pulsionali che tendono a spontanea diminuzione di intensità (scarica) trasformandosi in attività motoria o in altri stati psichici, si definisce «soglia motoria» il livello al di sopra del quale uno stato psichico si trasforma in azione, «soglia psichica» il livello al di sopra del quale si trasforma in altro stato psichico, e «facilitazione» qualunque abbassamento di soglia conseguente a iterazione della medesima trasformazione (Mclntosh, 1986). La teoria dell'ontogenesi afferma che nelle prime fasi dello sviluppo la soglia motoria è bassa, ma che l'Io impara presto a drenare il traffico energetico diretto perentoriamente all'azione mediante allestimento di una corsia preferenziale alternativa che conduca non più all'azione, ma ad altro stato psichico sostitutivo dell'azione. Il drenaggio prende il nome di investimento laterale; è il meccanismo principale dell'inibizione, agisce innalzando la soglia motoria al di sopra di quella psichica e fa da battistrada all'avvento del principio di realtà (Freud, 1895). E poiché nella teoria freudiana la scarica motoria, e più in genere somatica, è prototipo dell'affetto, ecco che il lavoro inibitorio del processo secondario finisce per assomigliare in parte a quello della cura, consiste nel legare affetti a rappresentazioni e viceversa. Principio di piacere e realtà risultano così inseriti in un elegante modello teorico di grande efficacia economica e dinamica, la cui tenuta però è messa a repentaglio dal fatto che, a monte delle varie deduzioni metapsicologiche, si assume il postulato del piacere come decremento e del dispiacere come incremento della tensione psichica, mentre a valle delle stesse deduzioni l'evidenza clinica, cui spetta il verdetto finale sulla validità della teoria, a quel postulato fornisce controesempi (ad esempio, dispiacere connesso a scarica d'angoscia).

Tra essi il più eclatante concerne proprio la sessualità, perché parte rilevante del piacere sessuale consiste proprio in incremento di tensione ed eccitamento. Fu Freud stesso a rilevare l'aporia, a riconoscerne l'importanza e a fornire come potenziale correttivo un'indicazione poco o nulla raccolta dalla ricerca successiva: l'esperienza edonica deve essere connessa non ai valori scalari assoluti di variazione della tensione, ma a un elemento temporale che accompagna quella variazione sotto forma di ritmo (Freud, 1905c). L'apparente oscurità del suggerimento non tragga in inganno, potrebbe essere dovuta a genialità troppo in anticipo sui tempi: proprio a un'oscillazione ritmica, il periodo di scarica neuronale, Freud aveva connesso l'esperienza cosciente in genere (Freud, 1895), di cui quella dei qualia edonici è parte, e ricerche recenti confermano la bontà dell'intuizione.

Se l'inibizione motoria (con mantenimento della tensione) risulta determinante nel transito dall'egemonia assoluta del principio di piacere a quella relativa del principio di realtà, altrettanto può dirsi di una specifica forma di attività motoria, quella muscolare di allontanamento dell'oggetto. La tesi secondo cui in origine appartiene alla realtà solo ciò che può essere attivamente allontanato dal corpo, è coeva delle prime enunciazioni freudiane sull'ontogenesi psichica, decorre parallelamente alla teoria del processo primario/secondario, è coerente col modello inibitorio egoico implicato da quella teoria e serve a spiegare le difese proiettive mirate a trasformazione del pericolo interno in pericolo esterno (Freud, 1895). La sua emergenza è concomitante all'uso di una particolarità terminologica degna di menzione, perché essa non è frutto esclusivo di idiosincrasia linguistica. Si tratta dello sporadico impiego, da parte di Freud, della formula «principio di dispiacere» (terza variazione sul tema del principio di piacere) in luogo del più frequente e accreditato «principio di piacere»: le due formule potrebbero essere considerate grosso modo equivalenti, a tal punto che lo stesso Freud le condensò in «principio di piacere-dispiacere», ma è indubbio che la prima finisce, suo malgrado, per enfatizzare dinamiche di evitamento in rapporto con una realtà frustrante, laddove la seconda privilegia dinamiche appetitive in rapporto con una realtà gratificante (Freud, 1899a).

E’ la prima formula che riesce a connotare meglio nascita, sviluppo e consolidamento dell'esame di realtà e della demarcazione fra memoria e percezione, perché la capacità di riconoscere che il mondo non è conforme al nostro desiderio presuppone l'avvenuta connessione di quel mondo col più imperativo dei processi psichici, il dolore (Freud, 1895). Ed è di nuovo la prima formula che consente di cogliere più efficacemente le ricadute dell'introduzione di Eros e Thanatos su piacere e realtà. Quest'ultima ne emerge definitivamente segnata da persecutorietà, dovuta da un lato al fatto che la medesima attività muscolare implicata nell'allontanamento dell'oggetto è ora posta al servizio della rumorosa deflessione all'esterno di una distruttività altrimenti silente e autodiretta, dall'altro a banale transitività applicata ai due enunciati secondo cui la realtà è lento servitore del piacere e il piacere della morte, da cui risulta l'asservimento alla morte della stessa realtà. Quanto tutto questo sia espresso nella contestuale enunciazione del principio del Nirvana (quarta e ultima variazione sul tema del principio di piacere), lo si può desumere da ambiguità e contraddittorietà di accompagnamento all'applicazione del punto di vista economico in Al di là del principio di piacere: il Nirvana è qui reincarnazione, seppure in un diverso scenario, di quello stesso utopico principio di inerzia che si riteneva definitivamente soppiantato dall'avvento del principio di costanza, evidentemente a torto, perché ora un Freud particolarmente incline a rimescolare le carte in tavola considera tutte le sue pregresse varianti terminologiche più o meno alla stregua di sinonimie, alle quali tuttavia egli non esita ad aggiungerne un'altra situata all'incrocio fra tradizione epicurea e buddista (mediata, quest'ultima, da Schopenhauer), Nirvana, appunto (Freud, 1920a).

Che però non si tratti né di sinonimie, né tanto meno di pervicace inclinazione a ridondanza terminologica, bensì dello sforzo di descrivere autentiche, quanto sottili, variazioni prospettiche sui due principi (non esenti, alcune di esse, da vistose sovrapposizioni filosofiche), lo si evince dal fatto che il pili profondo dei motori psichici risulta ora orientato non tanto alla ricerca del piacere mediato da esame di realtà e teleologica trasformazione della stessa, quanto ad atarassia ottenuta grazie a un radicale disinvestimento edonico. Del resto, lo stesso Freud riconobbe ritorno e sopravvento, con gli anni, di sue antiche inclinazioni filosofiche, ben visibili nei retaggi che animano la definizione di pulsione come spinta al ripristino della conditio quo ante. Piacere e realtà costituiscono infatti non solo chiavi di volta della metapsicologia freudiana, ma anche della filosofia che ne deriva per estensione isomorfa sotto forma prevalente di filosofia sociale e filosofia della scienza. La prima è interamente giocata all'insegna di una sorta di trasposizione psichica della legge di Haeckel: alla pari dell'ontogenesi, la filogenesi psichica si snoda anch'essa tra dominio del principio di piacere in partenza (concezione animistica e religiosa del mondo) e avvento di quello di realtà all'arrivo (concezione scientifica del mondo), con annesso pagamento alla patologia di un pedaggio in questo caso pili pesante, se possibile, di quello già oneroso imposto al singolo quando sia considerato in un'ottica priva di lenti sociali (Freud, 1927^; 1929). A sentire Freud, il processo di civilizzazione rende l'essere umano insolvente nei confronti dell'adattamento a una realtà che esige tutto e concede niente, e se le prospettive ontogenetica e terapeutica continuano a offrire possibilità, esigue quanto si vuole ma pur sempre significative, alla formazione di un compromesso accettabile fra esigenze del piacere e vincoli della realtà, lo stesso non può dirsi della prospettiva sociale. E’ qui che il pessimismo freudiano tocca il suo acme.

Nell'angoscia e nel lutto che segnano il tramonto del complesso edipico, il bambino può trovare uno spazio di progresso nelle derive dell'identificazione paterna e della scelta oggettuale materna (viceversa la bambina), che interiorizzano definitivamente l'istanza superegoica consentendo alla realtà materiale del divieto esterno, nei casi felici e a meno di troppo intense fissazioni preedipiche, di trasformarsi in realtà psichica egosintonica, avendo allora il piacere le sue migliori opportunità di realizzarsi e la realtà, per contro, di diventare piacevole. Ma quando quello spazio postedipico venga visto come sottoinsieme di un più vasto spazio individuato e retto da coordinate sociali, è il regresso ad avere in genere la meglio sul progresso, e casi felici non ne esistono che di rado: il carattere eccessivamente esigente delle richieste della società, assieme a quello intransigente dei suoi divieti, risultano alla fine così frustranti da offrire, come soluzione preferenziale a un conflitto piacere/realtà divenuto insostenibile, solo la fuga nella nevrosi o nella psicosi. L'unica alternativa alla patologia è riservata a pochi e affidata alle vie della sublimazione (per molti aspetti apparentata alla pulsione di morte), una delle quali conduce alla scienza, riconoscimento per antonomasia della realtà e per antonomasia rinuncia, la più completa possibile, al principio di piacere (Freud, 1910-17).

Questa tesi freudiana, per certi aspetti paradossale - se si considera che la sublimazione è rinuncia al piacere, si, ma solo a quello immediato e in vista dell'ottenimento finale di un piacere sostitutivo più grande -, sottende una filosofia della scienza di stampo corrispondenti-sta, collocata nella tradizione che va da Aristotele a Tarski, attraverso Tommaso, e basata sulla definizione della verità come coincidenza fra giudizio e realtà. Né altra filosofia potrebbe meglio fare da sfondo a una metapsicologia che assegna all'ontogenesi, come traguardo, proprio il conseguimento dell'esame di realtà e il costituirsi di quest'ultima, a buon diritto, come oggettiva, laddove l'allucinazione, sia essa primaria o psicotica, è di quell'esame fallimento e di quella realtà deformazione soggettiva. Tuttavia, in psicoanalisi i termini di una coppia concettuale non sono mai validamente connessi da sola disgiunzione esclusiva (l'abbiamo visto a proposito di piacere/realtà e processo primario/secondario, ma gli esempi potrebbero moltiplicarsi: attività/passività, patologia/norma, maschile/femminile, autoconservazione/sessualità, psiche/soma e così via), ma tendono piuttosto a occupare gli improbabili estremi di una serie complementare costituita da loro varie ibridazioni, e a questo destino, per molti aspetti fausto, non sfuggono neppure i due aggettivi più frequentemente al seguito del termine «realtà»: soggettiva e obiettiva.

E’ qui che il corrispondentismo - il principio della necessaria corrispondenza tra giudizio e realtà freudiano trova il suo limite naturale, sul crinale di una demarcazione fra soggettività e obbiettività (e fra realtà psichica e materiale) divenuta indecidibile, almeno a elevata risoluzione, ed è ancora qui che si impone la lezione kantiana, ben nota a Freud: Kant aveva denunciato come scandalo della filosofia l'impossibilità di dedurre l'esistenza della realtà esterna, tesi la cui validità è oggi riconosciuta nonostante la sua rotta di collisione col cosiddetto senso comune. Quello scandalo accomuna filosofia e psicanalisi, in entrambi i casi però sottraendo, il concetto di realtà a definizioni sommarie e a semplicistiche riduzioni, e conferendogli alla fine il grado di complessità che gli compete. Che ci si ponga nell'ottica del dilemma realtà psichica / realtà materiale, o in quella di inaspettate, profonde affinità fra giudizio e passione, il pensiero freudiano può essere considerato un tributo pagato a quella complessità.

FRANCESCO NAPOLITANO